Con un bus notturno raggiungo la mia ultima tappa peruviana, Puno, città nata sulle sponde del Lago Titicaca, il lago navigabile più alto del mondo situato a 3812 m s.l.m. e diviso tra Perù e Bolivia, la mia prossima destinazione.
COME ORGANIZZARE IL TOUR SUL LAGO TITICACA
Uno dei tour più diffusi per esplorare il Lago Titicaca è senza dubbio quello di due giorni e una notte, durante i quali si visitano le isole galleggianti di Urus, Taquile e una tra Amantanì o Luquina, dove si passa la notte in casa di una delle famiglie locali.
Un’altra opzione sarebbe il tour giornaliero che porta alla scoperta delle sole isole Urus.
Io ho scelto il tour di due giorni e l’ho prenotato direttamente al molo di Puno, cosa che tra l’altro vi consiglio se voleste risparmiare qualche soles.
L’alternativa sarebbe quella di prenotare il tour in una delle tante agenzie turistiche presenti nella città.
COSTO DEL TOUR
Organizzando il vostro tour direttamente al molo, vi garantirete solo il passaggio in barca, al costo di 30 soles, raggiungendo le isole Urus, Amnatanì e Taquile. L’ingresso sulle varie isole, così come il pernottamento ad Amantanì, lo pagherete una volta giunti a destinazione.
Io dopo una breve e simpatica contrattazione, sono riuscito a farmi includere nel prezzo l’ingresso alle isole Urus.
Nel caso prenotaste il tour tramite agenzia, il pacchetto sarà tutto incluso e non dovrete preoccuparvi di nulla.
Prezzi ingressi:
ISOLE URUS: 8 soles
ISOLA TAQUILE: 8 soles
ISOLA AMANTANÌ: 25 soles (Incluso pernotto, cena e colazione)
DURATA DEL TOUR SUL LAGO TITICACA
Il tour dura due giorni e una notte. Si lascia il molo di Puno verso le 08:30 del primo giorno e si rientra nel primo pomeriggio del secondo giorno.
COSA PORTARE
- Acqua
- Protettore solare (siamo a 3800 m e il sole è forte)
- Giacca a vento
- Abbigliamento molto caldo, ma anche t-shirt e shorts
- Antipioggia (qui il clima cambia rapidamente)
- Cappello
- Occhiali da sole
- Burro cacao
- Medicinali per il mal di mare (nel caso ne aveste bisogno durante la navigazione)
INFO UTILI
Prima di fare tappa al lago sarebbero meglio acclimatarsi un po’, perché trovandosi a più di 3800 m s.l.m., potreste soffrire di mal di montagna.
Vi consiglio anche qualcosa per il mal di mare, nel caso ne soffriste. Il lago di solito è abbastanza calmo, ma potreste essere sfortunati.
Una cosa molto carina potrebbe essere quella di portare alcuni regali ai bambini della famiglia che vi ospiterà. Piccoli peluche, colori o cose del genere, regaleranno un sorriso non solo ai più piccoli, ma anche ai loro genitori.
QUANDO ANDARE
Il periodo migliore per visitare le Ande è senza dubbio la stagione secca che va da aprile ad agosto, ma è anche la stagione più fredda, perché inverno.
LA MIA AVVENTURA SUL LAGO TITICACA
L’impatto con Puno è totalmente diverso rispetto alle altre città visitate durante queste settimane. Questo comune peruviano è conosciuto perché punto di partenza per esplorare il Lago Titicaca e le sue isole.
Puno è una città non molto turistica e ha ben poco da offrire e ciò mi permette di allontanarmi dalla calca di turisti incontrati a Cusco e Arequipa.
La motivazione per la quale uno decide di recarsi qui, nel sud del Paese, è solo una: visitare il Lago Titicaca.
L’idea è quella di visitare alcune isole del lago e pernottare in una di queste. Per farlo mi dirigo al molo in modo da organizzarmi direttamente con i proprietari delle barche e avere un prezzo più basso rispetto alle tante agenzie turistiche che si trovano in città.
Dopo una breve e simpatica contrattazione, ho prenotato il mio tour di due giorni, al costo di 30 soles, durante il quale visiterò le isole galleggianti di Urus, senza dubbio le più conosciute e turistiche, l’isola di Taquile e Amantanì, dove passerò la notte.
GIORNO 1
Alle 8:00 sono al molo e mezz’ora dopo salpiamo. Il lago Titicaca, che in lingua Quechua significa “puma di pietra”,perché secondo gli Inca ha la forma di un puma che caccia un coniglio, è ritenuto il luogo di origine dell’impero.
Si pensa che il primo Inca fosse di Taquile. Le lingue parlate sulle varie isole sono, oltre allo spagnolo, il Quechua o l’Aymara a seconda della discendenza.
Prima tappa di questo tour, sono le isole galleggianti di Urus, molto vicine alle sponde del lago e raggiungibili in circa 30 minuti di navigazione.
Appena giunti e sbarcati su una delle isolette, veniamo accolti dal presidente dell’isola che ci fa accomodare in cerchio e inizia a spiegarci qualcosa sul loro modo di vivere e su come vengono costruite le isole.
A primo impatto resto molto deluso, perché sembra tutto costruito per i turisti e con il passare del tempo questa percezione diventa conferma.
In origine gli Urus erano un popolo nomade che si spostava e viveva su delle imbarcazioni costruite con la Totora, una delle piante che cresce nelle acque del lago.
In seguito decisero di fermarsi e costruire delle isole artificiali e galleggianti.
Questi piccoli isolotti sono costruiti unendo blocchi di zolle di terra e radici di totora. Una volta scelto il luogo ideale dove costruire la nuova isola, i blocchi vengono mantenuti insieme mediante delle corde e su di essi viene disposta, a strati incrociati, la totora.
Durante la stagione secca viene aggiunta totora ogni due settimane, mentre durante la stagione delle piogge, ogni settimana.
Con il passare del tempo questi blocchi si uniscono sempre più grazie alle radici che s’intersecano tra loro.
Le case che una volta erano circolari, oggi sono squadrate e leggermente sollevate rispetto alla superficie dell’isola, per far sì che siano un po’ più calde e meno umide.
Per ragioni di sicurezza negli ultimi anni la struttura adibita a cucina è posizionata su una base in pietra, per evitare che l’isola prenda fuoco nel caso qualche fiamma tocchi il pavimento.
Su ogni isola vivono quattro o cinque famiglie per un totale di circa venticinque persone.
Le imbarcazioni, costruite sempre utilizzando la totora, vengono usate per gli spostamenti, per la pesca o dalle giovani coppie per conoscersi e avere un po’ d’intimità.
Sul lago Titicaca esiste ancora il baratto e le varie popolazioni scambiano ortaggi e riso con il pesce. Gli Urus sono degli ottimi pescatori, mentre sulle altre isole si coltivano patate, mais, cipolla e riso.
Dopo averci spiegato tutto ciò, c’invitano a visitare le loro abitazioni provando a venderci di tutto prima di provare a rifilarci un giro sulla loro imbarcazione più grande, chiamata “Mercedes”.
Personalmente odio questo genere di cose e i luoghi che hanno perso la loro autenticità a discapito del turismo.
Lasciata l’isola ci dirigiamo all’isola madre chiamata Quechua sulla quale è presente un piccolo ristorantino, un negozio di souvenir e nient’altro.
Ero curioso di visitare queste isole, ma devo ammettere che sono rimasto totalmente deluso da ciò che ho visto e dalla percezione che ho avuto.
Salutate le isole galleggianti abbiamo ripreso la navigazione per raggiungere Amantanì. I raggi solari, caldi e intensi, colorano il mio viso, mentre il vento mi rinfresca la pelle.
Giunti sull’isola veniamo divisi nei vari nuclei familiari. Io, insieme ad una famiglia peruviana, andiamo a casa di Ines, una donna di 52 anni tanto carina e gentile.
Una volta lasciato lo zaino nella mia stanza, mi dirigo verso uno dei due punti panoramici dell’isola, Pachatata che significa Padre cielo. L’altro, invece, è chiamato Pachamama ovvero madre terra.
Da quassù la vista è meravigliosa. Il mio sguardo si perde su tutta l’isola e sul lago, così grande da sembrare mare. A farmi compagnia solo i suoni della natura.
Sulla sommità di Pachatata si trovano i resti di un tempio Inca, ovvero un muro a secco dalla forma quadrata nel quale è vietato l’ingresso, se non alle popolazioni locali e solo il 15 gennaio in occasione di una festività.
Secondo le credenze popolari, se si effettuano tre giri del tempio con una pietra presa sul sentiero e poi la si inserisce tra le pietre che formano il muro, si esaudirà il desiderio da noi espresso e un giorno torneremo qui.
Mi godo il tramonto, purtroppo non più solo, ma ugualmente bello.
Per l’ora di cena rientro a casa di Ines, dove ho la possibilità di assaggiare una tipica cena locale; zuppa di quinoa e riso di verdure.
GIORNO 2
Verso le ore 07:00 sono già in cucina per gustarmi una colazione tipica a base di uovo sodo, una specie di frittella un po’ più grande, marmellata, mate di coca o caffè.
La mia avventura ad Amantanì è finita, così saluto e ringrazio Ines per la cordialissima ospitalità e raggiungo il molo dell’isola da dove salpiamo per proseguire il nostro tour e raggiungere Taquile.
Secondo alcuni studiosi, da questa isola di origine Aymara, partì il primo Inca che fondò il regno, diventato successivamente impero grazie al nono Inca Pachacútec (è possibile ammirare una sua statua nella Plaza de Armas di Cusco).
Quelli che oggi sono i loro abiti tradizionali, in realtà sono stati introdotti dagli spagnoli una volta conquistati, per sottometterli ed umiliarli.
Le donne di Taquile, sposate o impegnate, indossano una gonna nera o verde, mentre le nubili utilizzano altri colori.
Gli uomini, invece, si distinguono grazie al cappello. Quelli sposati hanno il cappello con il pon pon rivolto verso sinistra, mentre i ragazzi in cerca d’amore ce l’hanno rivolto verso destra. Chi, invece, ha il pon pon rivolto all’indietro, al momento non è in cerca d’amore.
Gli uomini che intendono sposarsi devono cucire un cappello e portarlo al padre della futura sposa che ne verifica la qualità inserendo al suo interno l’acqua del lago.
Se il cappello perde facilmente acqua, il padre nega il suo permesso ed il pretendente deve ricucirlo. In caso contrario dà il suo benestare.
Prima di sposarsi ufficialmente, ci sono due anni di convivenza e “prova” durante i quali la donna non può tagliarsi i capelli. Se alla fine di questi due anni dovessero decidere di sposarsi, la donna potrà tagliarsi i capelli ed usarli per cucire, insieme a lana di pecora, una cinta per il marito che varrà come fede nuziale.
Giunti al molo di Taquile, pago la tassa d’ingresso di 8 soles e inizio la salita fino alla piazza centrale, posta a 4000 m. La curiosità di questa passeggiata, della durata di circa 40 minuti, è la possibilità di vedere al lavoro quasi tutti gli abitanti dell’isola impegnati nella costruzione della nuova strada.
Alcuni rompono le pietre con martello e scalpello, altri le posizionano, altri ancora inseriscono terra nelle fessure ed alcuni spianano la strada per posizionarle. Sembra un viaggio nel tempo. Nel mentre tutti masticano foglia di coca che li aiuta nella concentrazione e nel non sentire troppo la fatica.
La piazza ha poco da offrire, così dopo un piccolo giro, mi fermo in un chiosco e mi gusto per solo 1 sol, un ottimo panino con l’avocado. Per chi volesse, per un sol è anche possibile mettere il timbro di Taquile sul passaporto.
È giunto il tempo di ritornare in barca e riprendere la navigazione verso Puno, dove passerò la mia ultima notte peruviana.
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