Confessioni senza filtri: il racconto autentico di un ritorno non previsto.
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IL RICHIAMO DELL’AVVENTURA
“Due anni lui gira per il mondo” così racconta Christopher McCandless, noto anche con il nome che si era dato, Alexander Supertramp in uno dei film di viaggio che più amo e mi hanno ispirato, Into the wild.
Anch’io, come lui, ho vagato per due anni. Non attraverso il mondo intero, ma in una terra selvaggia e lontana, dove il tempo sembra scorrere diversamente e l’Italia appare solo un’ombra sbiadita.
Ricordo come fosse ieri l’arrivo a Perth. Erano le 20:00 del 24 novembre e l’estate australe era ormai imminente. Appena le porte dell’aeroporto si spalancarono d’avanti a me e mossi i primi passi sentii una strana sensazione di piacere. La temperatura era mite. Il cielo scuro e limpido e stranamente per il periodo, non c’era un filo di vento.

Ancora non ci credevo, ma ero finalmente arrivato in Australia. Un Paese che non avevo mai preso in considerazione fino a qualche mese prima eppure per una serie di circostanze eccomi qui. Anzi, eccoci qui. Infatti a differenza del Sud America, dove partii solo, ma durante il mio vagare lì per 14 mesi incontrai tantissime persone e molti viaggiatori con i quali condivisi una parte del cammino ed esperienze indimenticabili, nella terra dei canguri ero arrivato con Marika, la ragazza che ha trasformato il mio io in NOI.

Da quando ho incontrato lei molte cose sono cambiate, ma non la mia voglia di avventure in giro per il mondo. La curiosità di vedere e imparare. Non è facile trovare qualcuno affine al nostro modo di essere e lo è ancora meno quando si sceglie una vita fuori dagli schemi. Quando baratti una stabilità sociale per una vita nomade. Quando molte volte decidi di non programmare e prendere le cose come vengono o quando il fato ha in serbo per te un’idea diversa rispetto a quella che avevi programmato. Noi siamo stati fortunati a incrociare i nostri sguardi e proiettarli verso la stessa direzione. Perché amarsi è la base, ma se non si guarda nella stessa direzione è difficile proseguire sulla stessa rotta.

L’AUSTRALIA DIVENTA CASA
Dopo un primo periodo di assestamento e ambientamento durato circa sei mesi, il nostro approccio è cambiato. Il nostro feeling con l’Australia è cambiato. Siamo passati da sentirci due corpi estranei in un Paese molto lontano dal nostro, non solo geograficamente, ma soprattutto culturalmente, a sentirci bene. Piano piano ci eravamo adattati a uno stile di vita che non solo iniziava a piacerci, ma anzi sentivamo cucito su misura per noi. Un po’ come quando ti creano un abito su misura. Durante la prima prova ti guardi allo specchio e pensi non sia l’abito adatto a te, ma all’ultima prova, dopo il lavoro accurato della sarta, ti ci rivedi. Vedi come quelli stracci si adattino perfettamente alle forme del tuo corpo. Ecco l’Australia era il vestito perfetto che accarezzava le forme della nostra anima e del nostro stile di vita.
Le indescrivibili spiagge del WA ci avevano letteralmente conquistato. Lo stile di vita rilassato, ci avevano mostrato che è possibile conciliare lavoro, famiglia e tempo libero. Dopo le ore 17:00, quando la maggior parte delle attività terminava la giornata lavorativa, i parchi e le spiagge si riempivano di gente che si godeva l’ipnotico tramonto dalle mille sfumature.
La vita in Australia scorreva al ritmo della natura. Ci bastava fermarci in qualsiasi punto della costa, estrarre la cucina dalla nostra 4×4 camperizzata e prepararci una colazione con vista sull’oceano. Il caffè non era buono come in Italia, ma sorseggiarlo mentre le onde si infrangevano sulla riva aveva un sapore diverso, più intenso.
Un pomeriggio di agosto, seduti su una scogliera nei pressi di Broome, vedemmo le balene solcare l’oceano di fronte a noi. Salutandoci con colpi di coda e soffi d’acqua, sembravano invitarci a seguirle. Mi sono chiesto se fossero in viaggio verso casa o se, per loro, casa fosse semplicemente il viaggio stesso.
E poi c’erano i tramonti, così straordinari da trasformare anche l’uscita da un supermercato in un momento di pura magia. Il cielo si tingeva di arancione, viola e rosso, mentre l’odore penetrante di eucalipto e il canto dei pappagalli ci accompagnavano durante i nostri allenamenti nel parco dietro casa. Questi piccoli momenti quotidiani avevano reso l’Australia la nostra casa.
Il WA, il più grande Stato dell’Australia è anche il meno popolato. Qui abbiamo apprezzato la natura selvaggia. La possibilità di camperizzare un 4×4 e vivere esperienze avventurose a pochi chilometri dalla città.
LE RADICI DEL VIAGGIATORE
Quando siamo bambini ci accontentiamo di piccole cose. Viaggiamo con l’immaginazione, costruiamo i ricordi che ci accompagneranno nella nostra vita e le esperienze che abbiamo plasmeranno gli adulti che saremo in futuro.
Oggi, nonostante abbia salutato quegli anni magici da molto tempo, forse troppo, ho la fortuna di conservare in me il Fabio bambino. Vivendo le mie esperienze in giro per il mondo, ho capito che una cosa che mi fa stare bene è vivere esperienze che mi ricordino gli anni andati come il contatto con la natura, il campeggio o anche sentire dei semplici odori e suoni che mi riportano indietro nel tempo.
Ho iniziato a fare campeggio quando ero ancora nella pancia di mia madre. Sono nato a settembre, quindi la mia prima estate in campeggio l’ho passata a poche settimane dalla mia nascita. Da allora, grazie ai miei genitori che non ci hanno mai fatto mancare nulla e non mi riferisco a oggetti materiali insignificanti, ho fatto campeggio ogni anno.
Il campeggio è uno stile di vita. O lo ami o lo odi. Io l’ho amato fin dal primo istante. Quella libertà di vivere all’aria aperta. il gesto di montare la tenda, neanche fosse la costruzione di un rifugio tra gli alberi. E i primi cieli stellati lontani dall’inquinamento luminoso.
Il profumo degli alberi o il suono delle onde nel mare che nel silenzio della notte mi coccolavano e fungevano da ninna nanna. Ogni piccola componente era un pezzo di un puzzle perfetto.
E poi mio nonno materno. Lui era il componente della famiglia con il quale mi sono sempre sentito più affine. Per molte cose eravamo simili e mi ha insegnato tanto. Aveva una villa in campagna e fin da piccolo sono stato affascinato dal camino, dal raccogliere la legna per accendere il fuoco.

Amavo innaffiare le piante e sentire l’odore della terra bagnata salire lungo le narici. Adoravo ascoltare lo scoppiettio della legna quando preparavo il BBQ o quando osservavo il camino acceso che mi incantava neanche fosse un incantatore di serpenti che suonava la sua melodia e io fossi il cobra che a ritmo di musica uscivo lentamente dalla cesta dondolando.
Questi ricordi sono forti e vivi nella mia mente e pulsano forte quando oggi rivivo queste stesse situazioni. In Australia il freecamping, le avventure all’aria aperta, le notti stellate lontane dall’inquinamento luminoso sono cose così diffuse che mi sentivo in un luogo adatto al mio stile di vita e a ciò che mi piace fare. Avevo trovato un luogo che conciliasse natura spettacolare, avventura, sicurezza e stile di vita neanche fosse stato fatto seguendo le mie indicazioni.
Ovviamente il WA non è un luogo perfetto, anzi, ma ponendo sulla bilancia i pro e i contro, per me l’ago pendeva prepotentemente verso gli aspetti positivi.
Qui abbiamo costruito giorno dopo giorno, la nostra quotidianità, come se fosse un muro formato da tanti mattoncini rossi, così tipici in questa zona. Ogni giorno quel posto tanto lontano dalla nostra casa di nascita, ci faceva sentire parte di qualcosa di adatto a noi fino a chiamarlo casa.
L’ADDIO E IL NUOVO INIZIO
L’Australia ci ha accolti, conquistati e coccolati per quasi due anni, prima che le nostre strade si dividessero come due amanti che si salutano alla stazione. Uno è sulla banchina ferroviaria e guarda l’altro salire sul treno, sedersi dall’altra parte del finestrino guardandosi negli occhi, mentre il cuore esplode di malinconia e la mente viaggia a una velocità supersonica alternandosi tra il rivivere ogni singolo istante di quella storia e la proiezione del futuro chiedendosi se un giorno si rivedranno mai fino a quando il treno chiude le porte e inizia a muoversi. Prima lentamente, poi sempre più veloce fino a lasciarsi dietro la stazione e tutto ciò che rappresenta.
E così eccoci catapultati in un nuovo continente. Un nuovo Paese, l’Indonesia. Un luogo vicino geograficamente ma lontano anni luce da quel luogo che fino a poche ore prima sentivamo la nostra casa.

Viaggiare, per come lo intendo io, non è andare da un posto all’altro o contare il numero di Paesi visti. Viaggiare è scoprire luoghi e culture, usanze e curiosità del luogo che si visita. È meravigliarsi dei luoghi che si ammirano. È imparare da altri essere umani. È avere l’umiltà di non crederci migliori di altri ma uguali ad altri. Siamo cresciuti in contesti e culture differenti. Né meglio, né peggio, solo diversi e ogni persona incontrata lungo il nostro percorso può insegnarci qualcosa.
Io amo riempire di domande le persone che incontro. Sono curioso di scoprire la loro storia e quella del loro Paese. Voglio imparare da loro e, purtroppo, quando le barriere linguistiche ci dividono, mi dispiace non riuscire a interagire come vorrei.

Chi mi legge da un po’ o chi mi segue sui social, è a conoscenza del mio amore viscerale per il Sud America, una parte di mondo che mi ha accolto e che ho chiamato casa per circa due anni e mezzo divisi nei vari Paesi. Parlando spagnolo e portoghese, riuscivo a interagire con chiunque e ciò mi ha permesso di connettermi molto con loro. Di ascoltare le storie di tantissime persone. Di ritrovarmi a mangiare a casa di sconosciuti che mi avevano aperto le porte e mi avevano fatto sentire uno di loro.

Purtroppo in Asia io non riesco a trovare la stessa connessione. Eccetto i luoghi più turistici, molti non parlano inglese e comunicare risulta molto complicato.
LA DECISIONE DI TORNARE
Quando si viaggia bisogna immaginarsi come un quaderno pulito pronto per essere riempito di appunti e noi lo eravamo?

Quando abbiamo lasciato l’Italia, nel novembre del 2022, immaginavo di viaggiare tra Oceania e Asia per circa tre anni. Perché proprio tre anni? Beh forse perché a settembre 2025 compirò 40 anni e mi piaceva l’idea di rientrare a cifra tonda. E poi perché viaggiando lentamente, ci sarebbe servito un bel po’ di tempo.
Lo “slow travel” è sempre stato il mio stile. Non a caso come logo ho scelto proprio una mongolfiera. Per la sua lentezza nello spostarsi in modo da mostrare la bellezza del panorama un po’ alla volta e nel fartelo gustare con calma. Hai la possibilità di guardare dai quattro lati del cesto senza nessuna fretta.
Ma, come quasi sempre accade, i programmi non vanno mai secondo i piani.
Avevamo trascorso quasi due mesi in Indonesia, ma non riuscivamo a goderci il viaggio come sempre. All’inizio davamo la colpa al Paese. Troppi paragoni con l’Australia o la Colombia (il nostro primo viaggio insieme). Niente sembrava piacerci e così una mattina, mentre facevamo colazione a Medan la capitale di Sumatra, dopo un viaggio notturno in pullman di 20 ore, ho guardato la faccia stanca di Marika e le ho fatto una proposta che mai mi sarei aspettato di fare. Mentre sorseggiavo un sorprendentemente ottimo espresso, le ho detto: “E se mettessimo il viaggio in pausa e rientrassimo in Italia per un po’ e ricaricarci?” Ebbene si, il problema non era ciò che avevamo all’esterno, ma ciò che avevamo all’interno.

Avevamo iniziato una nuova avventura, ma in realtà non eravamo pronti a farlo. I nostri cuori e le nostre menti non avevano ancora elaborato e metabolizzato i due anni di Australia appena conclusi. I nostri corpi sentivano ancora la stanchezza degli ultimi due mesi vissuti in auto percorrendo centinaia di chilometri tra deserti, guadi di fiumi e strade sterrate.
Stavamo viaggiando perché il nostro programma prevedeva che avremmo dovuto essere in viaggio. Avremmo dovuto sbrigare le pratiche burocratiche del nostro matrimonio in Malesia e aspettare di vedere le nostre famiglie direttamente in Thailandia per la cerimonia.
Aveva realmente senso continuare a spostarsi da un luogo all’altro? Perché non sarebbe stato viaggiare, ma solo rimandare un rientro in Italia. Non perché avessimo qualcosa contro l’Italia, ma solo perché avevamo programmato così? Assolutamente no.
Era giunto il momento di chiudere gli zaini, troppo pesanti e ingombranti dati i due anni di vita in Australia che ci portavamo dietro. Ogni spostamento era un piccolo trasloco. Le spalle, le braccia e le gambe ne risentivano. Quando sei stanco fisicamente, ma soprattutto mentalmente, tutto ti appare negativo e brutto. Per questo non riuscivamo a goderci l’Indonesia. Non eravamo pronti e i nostri quaderni invece di essere bianchi e predisposti ad essere ricoperti di appunti di viaggio, erano pieni di annotazioni e post-it di un’esperienza appena conclusa.
IL RITORNO E LE CONTRADDIZIONI
Così, senza dire niente a nessuno, eccetto le nostre rispettive sorelle, abbiamo acquistato un biglietto di sola andata per l’Italia. Dopo due anni avrei rivisto la mia famiglia. Non eravamo mai stati lontani per così tanto tempo. Non sono un mammone e di famiglia siamo sempre stati vagabondi. Mia sorella ha lasciato casa quando aveva 20 anni trasferendosi a Londra. Io, invece, ho sempre alternato lunghi viaggi o esperienze lavorative lontano da casa, quindi i miei si sono abituati, negli anni, alla nostra assenza. Ma due anni, sono sempre due anni e quando si cresce, quando il tempo passa e i tuoi diventano sempre più grandi molte cose le guardi con occhi diversi.
Quante volte mi è capitato durante il mio lavoro in Australia di vedere le famiglie riunite durante le feste o per una semplice cena e pensare che questi momenti non sono eterni e che un giorno tutto questo ci mancherà dannatamente e non potremo fare niente.
Molte volte ci accorgiamo della mancanza di qualcosa o qualcuno quando è troppo tardi e questo non va bene.
Due anni sono un’infinità. Marika ha lasciato una nipotina di due anni e l’ha ritrovata a quattro che ovviamente non l’ha riconosciuta. La vita può cambiare in un secondo, figuriamoci cosa può succedere in ventiquattro mesi.
Il rientro in Italia è stato piacevole. La prima colazione italiana all’aeroporto di Roma, prima dell’ultimo volo che ci avrebbe portato a Bari. Ogni cosa sembrava strana. Anche il semplice ascoltare le persone intorno a noi parlare italiano. Siamo in Italia, è normale che le persone parlino italiano, ma dopo due anni non sei più abituato.
Ogni piccolo gesto era un paragone con quella che era stata la nostra casa.
Ci sono stati, indubbiamente, aspetti positivi in questo ritorno: rivedere le famiglie, vivere momenti semplici ma preziosi insieme. Quelle piccole cose che ti fanno stare bene, come una cena attorno al tavolo di casa, una passeggiata vicino al mare, una crisi di risate nata così, per caso, o immaginando il nostro matrimonio dall’altra parte del mondo. E poi il cibo, tutte quelle prelibatezze che ci erano mancate – la mozzarella di bufala, la focaccia barese, i sapori di casa delle nostre famiglie. Rivedere gli amici, salutarci e sfotterci sul come stiamo invecchiando, ha riportato una normalità che, in qualche modo, avevo dimenticato.
Dopo aver rischiato di causare un infarto ai miei e ai genitori di Marika presentandoci a casa, aver spupazzato le nipotine, mangiato ogni prelibatezza delle nostre terre che si presentava a vista d’occhio o ci inebriava con i suoi profumi, dopo la gioia iniziale mi sono accorto che quel luogo, che chiamerò per sempre casa perché è il luogo dove sono cresciuto e dove si trovano i miei genitori, in realtà è uno dei luoghi più lontani dal mio modo di essere e mi fa sentire smarrito e spaesato.
Ho trovato una città molto più verticale di quella che avevo lasciato. Palazzi maestosi sono stati costruiti e altri sono in costruzione a discapito di spazi verdi. Tutti così vicini che mi chiedo come si possa desiderare di vivere in un palazzo così, seppur super moderno e pieno di comfort. Come si possa essere così lontani dalla voglia di natura.
Camminare per le strade della mia città in Puglia o di quella di Marika in Campania quasi non fa differenza. Mi sento un’entità estranea. Il mio corpo è qui, ma mentalmente mi chiedo cosa ci faccia qui e anche spiegare il mio stato d’animo risulta difficile, perché molte cose bisogna viverle per poterle capire.
RITROVARE LA SERENITÀ
Il mio adattamento al ritorno è stato graduale. Sapevo che il rientro in Italia sarebbe stato emozionante per alcuni aspetti, ma difficile per altri. Avevamo bisogno di stabilità dopo due anni in movimento, di una pausa per ricaricarci e riorganizzare le idee, ma la sensazione di spaesamento era forte. Mi sono concentrato su ciò che potevo controllare: lavorare sul blog, sulla fotografia, sull’allenamento – spingermi oltre, alzare l’asticella, darmi nuovi obiettivi concreti. L’organizzazione del matrimonio ci ha dato una direzione chiara, un progetto da costruire insieme.
Eppure, dentro di me, sentivo ancora una forte instabilità emotiva. Avevo bisogno di ritrovare me stesso senza distrazioni, così ho scelto di disconnettermi dai social e di immergermi nel presente. Volevo allenarmi, leggere libri veri – perché il Kindle è comodo, ma l’odore della carta e il gesto di sfogliare le pagine sono un’altra cosa. Sentivo il bisogno di tornare a scrivere su Vita da Wanderlust, la mia casa virtuale dove non sono vincolato da algoritmi o limiti di caratteri.
Con il tempo, grazie a queste piccole cose, ho ritrovato un po’ di serenità. Ma la verità è che questo luogo non mi rispecchia. È lontano da ciò che desidero per il mio futuro. E così mi rifugio nei miei pensieri, nelle mie foto, nei libri, mentre cerco la strada giusta per sentirmi di nuovo a casa.
Quando tutti intorno a noi ci dicono che è arrivato il momento di fermarci perché così non si può vivere o continuare, lo dicono solo ed esclusivamente perché non hanno visto o conosciute persone con un altro stile di vita completamente diverso rispetto a quello al quale siamo stati indotti.
Viviamo e facciamo cose perché si è sempre fatto così, ma ognuno di noi ha un’indole diversa. Ognuno di noi può decidere se costruirsi una strada o seguire la via tracciata da qualcun altro opprimendo la propria indole. C’è una frase che ho letto tempo fa e ho fatto mia “Il segreto della felicità è la libertà e il segreto della libertà è il coraggio”. In queste poche parole ho trovato tanta verità che mi hanno fatto riflettere. Ognuno di noi dovrebbe trovare il coraggio di trovare la propria felicità. La vita è una e non va sprecata per nessun motivo.
GUARDANDO AL FUTURO
Il primo periodo è stato il più duro, dove i paragoni con l’Australia erano forti. Venire da un Paese dove funziona quasi tutto, dove la civiltà e il rispetto delle regole rappresentano la normalità e non l’eccezione che ti sorprende accentuando questa sensazione di malessere.
Ora mentre scrivo queste righe, mi trovo a Bari a pochi metri dal mare, quello stesso mare che tre anni fa in questo stesso periodo c’ispirò a partire per l’Australia, dove mi godo la presenza dei miei e cerco di condividere con loro momenti e costruire ricordi che mi accompagneranno nelle prossime avventure.
Se sei arrivato a questo punto, forse ti starai chiedendo perché non abbiamo deciso di restare in Australia. Forse hai ragione, ma la verità è racchiusa in diversi motivi tra i quali la difficoltà nel restare lì. Se avessimo voluto, forse ci saremmo riusciti, ma in quel momento eravamo pronti a lanciarci in una nuova avventura e sinceramente credo fortemente che nulla accada per caso e tutto abbia un suo perché. Qualcosa a cui oggi non sappiamo dare risposte, domani potrebbe sembrarci chiaro e così semplice che magari guardandoci indietro sorrideremo di noi stessi ricordandoci per quanto abbiamo sofferto per una situazione o per una decisione che non riuscivamo a prendere e che oggi ci è sembrata la cosa più giusta mai fatta.
A me è successo molto spesso. Se ripenso a situazioni che in un primo momento mi hanno logorato, ma ampliando l’angolo di visuale, riesco a osservare ciò che mi hanno portato. È un po’ come il viaggio. Se siamo pieni, non abbiamo lo spazio necessario per fare entrare cose nuove.
Concludendo, nonostante al momento mi senta un corpo estraneo nel mio Paese di nascita, questa pausa dal viaggio mi ha fatto bene. Oltre per tutte le cose che ho scritto in precedenza, anche per farmi capire come vorremmo costruire la nostra casa in un angolo di mondo che non abbiamo ancora trovato.
Prima o poi mi dovrò fermare, lo credo anche io, ma non è oggi quel momento. Sento ancora il bisogno di andare a piedi scalzi in giro per il mondo, mentre il vento dell’est mi scompiglia i capelli o il tramonto a ovest mi accieca. Sento la necessità di riempire la mia anima di nuove sensazioni e nuovi incontri. Vorrei vivere in vari parti del mondo per assorbire come una spugna qualcosa di bello da tutti quei luoghi che con tutta la naturalezza del mondo oggi chiamo casa.

Vorrei vivere per un periodo a pochi passi dall’oceano, circondati da natura e poche case. Dove il suono dell’oceano, il canto del vento e il verso degli uccelli siano i nostri vicini.
Vorrei vivere ai margini di una foresta, dove gli animali m’insegnino cosa vuol dire essere liberi nella natura selvaggia. Dove ogni piccolo essere vivente fa parte di un meccanismo impeccabile e antico miliardi di anni.
Vorrei vivere un po’ nella savana africana, acciecato dai tramonti infuocati di quella terra primordiale e dove ogni rumore di ramoscello calpestato ti faccia rabbrividire pensando a qualche predatore.
Vorrei vivere tra le montagne, dove l’inverno sei circondato da un paesaggio bianco accecante e l’estate ti ritrovi in spazi verdi che si alternano a vette innevate.
La realtà è che non so cosa succederà e dove saremo, ma per ora mi godo la famiglia, il cibo e la brezza del mare adriatico che mi accarezza come una mamma mentre coccola il proprio figlio donandogli amore, ma sapendo che quel bambino è cresciuto ed è libero di andare per seguire la propria strada, ma che lei sarà lì ad aspettare il suo rientro per riabbracciarlo e amarlo al suo ritorno.